Ad un commento ricevuto da un lettore su hyperbros.com
rispondo così:
Egregio Dott. Di Palma,
ho apprezzato molto il tono delle sue
risposte e, nonostante ritengo che lei, come la maggior parte dei lettori di giornali
o telespettatori di trasmissioni tv, come l’italiano medio che cerca di
informarsi come può (male!), sia vittima inconsapevole proprio delle lievi
imprecisioni che una certa stampa e tv (tutta) regolarmente ci propinano, di
tanto in tanto nei suoi discorsi scorgo qualche segnale che mi induce a pensare
che la partita con lei e la sua indiscutibile intelligenza non sia del tutto
persa. E’ per questo motivo che, nonostante non sia un grande scrittore, mi
sforzo comunque di risponderle.
Non ho mai affermato che l’euro è la
fonte di tutti i nostri guai. Ho detto invece che esso costituisce una parte
importante del problema. Il superamento della moneta unica è condizione
necessaria ma non sufficiente per uscire dal tunnel della crisi. L’euro,
chiariamoci subito, è innanzitutto un potentissimo strumento di
repressione salariale, un metodo di governo del conflitto distributivo, che un
tempo nessuno si vergognava di chiamare col suo nome storico: lotta di classe.
Ed è dunque un strumento di repressione della democrazia. Le riporto le parole
del premio nobel per l’economia 1999 (“per la sua analisi della politica
fiscale e monetaria in presenza di diversi regimi di cambio e per la sua
analisi delle aree valutarie ottimali") Robert Mundell, di certo non
un amico del popolo, ma potrei citarle decine di altre perle:
“L’euro è lo
strumento grazie al quale i congressi e i parlamenti possono essere spogliati
di ogni potere sulla politica monetaria e fiscale. Il fastidio della democrazia
può così essere rimosso dal sistema economico. Senza politica fiscale l’unico
modo in cui le nazioni possono mantenere i posti di lavoro è la riduzione
competitiva delle regole del business”.
Cosa significa “riduzione competitiva
delle regole del business”? Ci torno alla fine.
Nessuno dei commentatori critici
dell’euro-pensiero, se ha un minimo di onestà intellettuale, limiterebbe la
questione solo all’euro, tralasciando gli aspetti che peraltro mi pareva di
aver citato già: il controllo della Banca Centrale da parte del Governo per
finanziare la Spesa, la regolamentazione dei movimenti internazionali dei
capitali (prima del 1990 le risulta che l’Italia sia stata isolata come Cuba?),
la reintroduzione della separazione tra banche d’affari e banche commerciali,
ispirata dal celebre Glass Steagall Act, varato a seguito della crisi del 1929.
In Italia, come è noto, la separazione fu dovuta alla legge bancaria del 1936
(tocca ammetterlo), abrogata grazie a Mario Draghi (!!), padre del Testo Unico
Bancario del 1993 (persino in anticipo rispetto agli americani che l’abrogarono
nel 1999). Sulla nazionalizzazione dei servizi pubblici e delle industrie
principali e strategiche, la invito a informarsi sui risultati che le
privatizzazioni selvagge, iniziate negli anni 90 nel nostro paese, hanno
prodotto in termini di qualità del servizio e dei prezzi. Senza scomodare
ragioni più dichiaratamente politiche che pure hanno il loro peso. Per questo
la inviterei a riconsiderare le mie affermazioni nella loro interezza. Lo
sviluppo e l’ affermazione internazionale dell’economia italiana si sono avuti
alle condizioni suddette. Dice, ma adesso c’è la Cina! La Cina c’è sempre stata
e per di più abitata da cinesi! Il problema è che se il capitale è libero di
muoversi, il lavoratore lo è di meno come abbiamo visto e, fatalmente, il basso
salario cinese non aiuta il salario italiano. Oggi comunque, chiariamoci, la
Cina rappresenta intorno al 7% delle importazioni italiane, la nostra Cina è la
Germania. E questo non dovrebbe stupire nessuno. Pensi che gli economisti si
sono presi la briga di dimostrare una verità intuitiva: si commercia di più con
i paesi più vicini. Di che colore è il cavallo bianco di Napoleone? Ed è falso
che il saldo commerciale con la Germania sia positivo per noi. Non lo è dagli
inizi del decennio scorso. Prima del 2000 invece le cose andavano diversamente.
Ma si tratta anche qui di coincidenze e/o di molteplici fattori non
considerati.
Ho già spiegato che la svalutazione
dell’euro è un fenomeno meno importante della liberazione della fluttuazione
dei cambi nei paesi dell’eurozona, perché con questi si commercia di più.
Quindi svalutare la lira, cioè riallineare la moneta al reale valore della
nostra economia, ci aiuterebbe anche nei confronti dei nostri principali
mercati di sbocco, non solo verso quelli secondari. Pare poca la differenza?
Mi permetta di farle notare invece, a
proposito di “volontà politica che emerge dall’insieme degli stati” che il
fatto stesso che siamo in crisi dimostra che tale volontà non c’è mai stata, o
almeno non è mai stata messa in atto. Basterebbe che i paesi del nord
praticassero politiche fiscali più espansive per dare ossigeno ai paesi del
sud. I lavoratori tedeschi dovrebbero essere cioè retribuiti in modo
proporzionale alla loro produttività media del lavoro in modo non solo da
dare impulso alle importazioni, cioè alle nostre esportazioni, riducendo anche
gli squilibri finanziari, ma anche al fine di ridurre la pressione verso un
ulteriore e sanguinaria deflazione salariale nel nostro Paese (le riforme!) che
tradotto significherebbe ulteriore distruzione di domanda interna, in una
spirale che ci condurrà alla morte economica per asfissia, come è già successo
ai nostri fratelli greci, verso i quali noi tutti dovremmo portare rispetto per
la tragedia che hanno vissuto in nome del “sogno” europeo. Potrei aggiungere
altri fatti che dimostrano l’inconsistenza di quella volontà politica che anche
lei sogna (non solo lei, l’on. Gianni Pittella per restare nel nostro
territorio è un poeta del sogno europeo). Un esempio recente è il limite del
20% nell’accettazione del rischio legato all’acquisto di titoli di Stato da
parte della Bce, appena annunciato da Draghi, mentre il restante 80% resterebbe
nella mani delle Banche Centrali Nazionali. Il fatto originario è invece la
volontà di far precedere l’unione monetaria a quella politica, che in sé la
dice già lunga.
Nessuno qui sta parlando di
“un’Italietta isolata è praticamente insignificante a livello globale”. Io
vorrei parlare di una nazione libera di creare relazioni internazionali, ma
anche libera di dotarsi di un proprio indirizzo politico, economico e sociale.
Non c’è bisogno di essere grandi per stare al mondo. Pensi alle formiche e ai
dinosauri. Non ci si estingue perché si è piccoli.
Infine, io penso che se non è chiaro
il problema, non andiamo da nessuna parte.
Il problema è l’attacco ai salari che
si è avuto a partire dagli anni 80 in tutto il mondo occidentale.
Ogni volta che i salari vengono
retribuiti meno della produttività media del lavoro, il capitalismo sperimenta
crisi, perché ha bisogno di iniezioni di debito. In Italia la conseguente
riduzione della domanda aggregata è stata coperta prima, per i primi 15 anni,
col debito pubblico (gli imprenditori che in quegli anni hanno fatto fortuna
non possono prendersela con lo Stato a giorni alterni) e poi (a muro di Berlino
crollato) per i successivi 10 anni preparatori alla crisi, col debito privato.
Fino allo scoppio della crisi americana del 2008 dalla quale tutti, tranne i
Paesi dell’eurozona, si sono ripresi.
Nel congedarmi lasciate che dedichi
una citazione al Prof. Ribba.
“La lotta del proletariato contro la
borghesia è in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente,
certo formalmente. E` naturale che il proletariato di ciascun paese debba
anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia.” (K. Marx - F. Engels, Il
manifesto del partito comunista)